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Settìmio Severo, Lùcio Pertinace.

Imperatore romano. Di famiglia di origine romana ma trapiantata a Leptis Magna, in Africa settentrionale, si recò a Roma dove svolse gli studi superiori, intraprendendo in seguito, sotto la protezione di Marco Aurelio, la carriera politica. Fu questore (170-171), tribuno della plebe (176), propretore in Spagna (178), governatore in Gallia (187) e in Sicilia (189), console (190) e, infine, governatore in Pannonia Superiore (192), ove, alla morte di Pertinace (marzo 193), fu acclamato imperatore dai suoi soldati. La contemporanea acclamazione di Clodio Albino in Gallia e Britannia, di Dido Giuliano in Italia e di Pescennio Nigro in Siria aprì una stagione di lotte, che terminò allorché S., dopo essersi sbarazzato di Pescennio Nigro, scese in Italia, accordandosi col Senato e con il rivale Clodio Albino a spese di Didio Giuliano. Successivamente, dopo aver sostituito la vecchia guardia pretoriana con elementi scelti tra le sue truppe (rompendo in questo modo con una consolidata tradizione che voleva le corti pretorie composte da milizie italiche), inaugurò una politica decisamente antisenatoria, entrando altresì in lotta con Clodio Albino; sconfittolo a Lione (197), rimase unico imperatore. Nel 197, organizzò una spedizione contro i Parti che si concluse nel 202 senza rilevanti acquisizioni territoriali, ma con il consolidamento delle frontiere. Tornato a Roma, si dedicò alla riorganizzazione finanziaria e amministrativa dello Stato allo scopo di fronteggiare la grave crisi economica determinatasi a seguito delle ingenti spese militari. Morì, forse avvelenato dal figlio Caracalla, in Britannia, dove si era recato nel 208 per una spedizione militare contro i Calcedoni alla quale non aveva potuto partecipare direttamente perché quasi subito ammalatosi. Seppellito a Roma, fu divinizzato (Leptis Magna 146 - Eboraco, od. York, Britannia 211).